di Cristoforo Moretti,
ingegnere e milanese
Il
nuovo Regolamento Edilizio milanese è entrato in vigore il 26 novembre 2014 ed
ha introdotto alcuni obblighi che hanno sollevato perplessità e polemiche. Tra
le previsioni più discusse l’obbligo del CIS (il certificato di idoneità
statica per gli edifici di oltre cinquanta anni di età), che è tornato di
recente alla ribalta per l’approvazione e la diffusione delle linee guida per
la sua redazione. Questo documento di indirizzo, presentato il 29 novembre 2016, è
stato realizzato in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri della provincia
di Milano e presenta la modalità attuativa per le analisi, le eventuali
indagini e l’emissione del certificato di idoneità.
Il
Comune di Milano si vanta di essere il primo in Italia ad avere introdotto
questi controlli, intanto Assoedilizia ha impugnato la norma davanti al TAR.
In
queste note si intende illustrare l’obbligo regolamentare, i problemi pratici
che si possono riscontrare nell’adempimento, alcune considerazioni sulla
necessità di introdurre questo tipo di valutazione a Milano.
A
seguire il testo del comma 6 dell’art.11 del Regolamento Edilizio vigente.
(clicca per ingrandire)
Escludendo
le legislazioni a seguito di eventi sismici, la prima legge nazionale sulle
opere in conglomerato cementizio appare nel 1907, e solo per i lavori pubblici.
Nel 1927 la legge viene estesa ai lavori privati, introducendo anche l’obbligo
di deposito in prefettura del certificato di collaudo. Nessun collaudo è mai
stato chiesto ad edifici costruiti con murature in mattoni pieni e solette in
legno. Le poche informazioni riportate bastano ad evidenziare come siano
davvero molti gli edifici milanesi ultracinquantenni privi di collaudo; la
stima del Comune è di circa ventiseimila unità.
Per
redigere il CIS ora ci sono le “linee guida di indirizzo”, costituite da
trentacinque pagine fitte di indicazioni, che analizzeremo nel seguito dal
punto di vista tecnico-condominiale.
Alcune
domande sorgono spontanee ad una prima lettura. La prima: il Comune di Milano,
a quasi tre anni dalla scadenza più imminente, è in grado di fornire documenti in
tempi ragionevoli ai professionisti che chiederanno visura degli atti di
fabbrica, degli eventuali “cementi armati”, di possibili condoni e delle varie
pratiche edilizie succedutesi negli anni?
Ancora:
siamo sicuri che sarà facile, per l’amministratore medio ma anche per il
condòmino medio, quindi per la cittadinanza, opporsi ai tecno-terrorismi che
proveranno ad imporre adeguamenti costosissimi e “giustificati” solo dalla
vaghezza della norma, che potrebbe offrire il fianco a speculazioni commerciali
forse già in attuazione?
Ed
infine, quanti contenziosi troveranno alimento dall’impugnazione delle delibere
da parte dei dissenzienti, spaventati dalle richieste economiche dei
professionisti contattati? Quanti dalle richieste di accesso alle proprietà
private disattese e dalla conseguente impossibilità di ottenere il CIS? E
quanti dalla resistenza della cittadinanza ad una visione “cautelativa” ma
burocratica della sicurezza degli stabili che porterà – ogni quindici anni,
secondo una spavalda e chissà se lecita previsione delle linee guida – un
significativo esborso economico per ogni proprietario?
Magari
sbaglieremo, ma oltre agli ingegneri di questa nuova norma non sono scontenti
neppure gli avvocati.
Per indirizzare la redazione del certificato di idoneità statica a fine
novembre 2016 una determinazione dirigenziale del Comune di Milano ha approvato
trentacinque pagine di linee guida: ne presentiamo sinteticamente il
contenuto tramite qualche stralcio, iniziando dalla fondamentale premessa, che consigliamo di leggere per intero.
Il
“tecnico abilitato” richiesto è un soggetto al quale sia giuridicamente
consentito svolgere collaudi statici (e quindi ingegneri o architetti con oltre
dieci anni di iscrizione al rispettivo albo professionale, in possesso dei
necessari aggiornamenti professionali).
Il
professionista incaricato analizzerà il fabbricato per le verifiche di primo
livello, cercando eventuali segnali di sofferenza, di degrado o dissesto (per
esempio deformazioni eccessive o fessure), interventi di modifica dell’organismo
strutturale (sopralzi “di guerra”, recuperi di sottotetto, eliminazioni di
pilastri o solette, ecc.), pericoli esterni (demolizioni o scavi spericolati o
nuove costruzioni in aderenza, ecc.), rischi negli elementi accessori (cioè
aggetti, comignoli, decorazioni, rivestimenti, ringhiere, ecc.). Dovranno
essere ricercate la documentazione strutturale originale del fabbricato e le
pratiche edilizie succedutesi nel tempo, al fine di valutare tutte le eventuali
modifiche strutturali posteriori alla costruzione. Dovranno essere definiti dal professionista la tipologia
strutturale dell’immobile e lo schema statico, la congruità dei carichi con la
destinazione d’uso dei locali (il che comporterà il non semplice accesso a
tutte le unità immobiliari), l’interazione con gli edifici attigui e con
l’ambiente circostante. Il tecnico incaricato dovrà effettuare sopralluoghi
esterni ed interni, valutando le condizioni delle strutture sia condominiali
che private, sia portanti che non portanti (a rischio smontaggio boiserie,
arredature, specchi ecc.), arrivando a stabilire anche l’eventuale pericolosità
degli elementi apparentemente senza rilevanza strutturale diretta quali, per
esempio, facciate, serramenti, coperture, cancellate, soffitti, rivestimenti
lapidei; tutto quanto può creare danni deve essere esaminato e valutato dal
professionista. Dalle linee guida:
A
seguito delle verifiche di primo livello, ammesso che si riescano a realizzare
senza citazioni ed opposizioni varie, ci si troverà in una delle seguenti tre
situazioni.
1 – Va
tutto bene e quindi può essere emesso il CIS dal tecnico incaricato; nei “considerato”
della determina di approvazione delle linee guida si cita una presunta validità
di 15 anni come se fosse un dato acquisito, introducendo così un altro elemento
quanto meno di perplessità perché il Regolamento Edilizio non prevede alcuna
durata massima del certificato.
2 –
Secondo caso: è presente qualche sofferenza per elementi non strutturali o
comunque accessori, per cui il tecnico può emettere un CIS “con prescrizioni”
con validità 2 anni, nei quali per eliminare i problemi evidenziati devono essere
eseguiti lavori, al cui termine il certificato di idoneità viene prorogato per
13 anni; in assenza di lavori decade il CIS e sopravviene l’inagibilità per le
parti di immobile interessate dalle inadempienze (anche se come applicare
questa fumosa previsione sarà oggetto di grandi discussioni in sede pratica).
La possibilità di un CIS valido solo 2 anni è prevista anche quando un pericolo
esterno condiziona la tranquillità strutturale di un fabbricato, ma 2 anni
appaiono molto pochi quando un problema interessa proprietà diverse: anche su
questo punto le linee guida appaiono poco lungimiranti e forse superficiali.
3 – Il
CIS non può essere emesso per problemi strutturali o mancanza di documentazione
o difformità di carichi rispetto alla destinazione d’uso. Si deve quindi
entrare nel secondo livello di verifiche, che prevede una “valutazione della
sicurezza” secondo quanto previsto dalle Norme Tecniche delle Costruzioni
emanate nell’anno 2008.
Le verifiche di secondo livello
possono portare a due situazioni.
La prima è la seguente.
La
seconda eventualità, lo ripetiamo, appare foriera di molti contenziosi.
L’applicazione
del doppio livello di verifica ed il riferimento a una sola legge (le Norme
Tecniche del 2008) superano un aspetto in qualche modo imbarazzante presente
nell’obbligo di idoneità statica, contenuto nel comma 6 dell’articolo 11 del
Regolamento Edilizio di Milano, obbligo che riportiamo: “Tutti i fabbricati,
entro 50 anni dalla data di collaudo delle strutture, o in assenza di questo,
dalla loro ultimazione, dovranno essere sottoposti ad una verifica
dell’idoneità statica di ogni loro parte secondo la normativa vigente alla data
del collaudo o, in assenza di questo, alla data di ultimazione del fabbricato”.
Molti, ma veramente molti, fabbricati in Milano sono stati ultimati quando
ancora non era stata emanata alcuna normativa strutturale. Il
professionista incaricato di emettere il certificato non sarebbe mai stato in
grado di individuare un riferimento, normativo e quindi certo, per dichiarare
l’idoneità dell’immobile; in quei casi il comma 6 sarebbe stato praticamente
inapplicabile e per questo motivo le linee guida fanno riferimento a un primo
livello di verifica esclusivamente qualitativo, cioè senza calcoli e senza
riferimenti di legge, e ad un successivo livello quantitativo, riferito alla
normativa strutturale oggi vigente ed alla tecnologia moderna.
Le
linee guida si chiudono con due frasi che vogliono stabilire in un certo senso
un confine giuridico alla responsabilità del tecnico incaricato interessando i
responsabili del fabbricato, con una efficacia che soltanto l’eventuale futura
giurisprudenza dimostrerà.
L’ultima frase denuncia un
approccio un po’ sbarazzino alla questione, imputando “alla Proprietà /Amministratore
o al gestore del fabbricato” anche responsabilità per i fatti riconducibili a
situazioni “derivanti da pericolo esterno”, come se i pericoli esterni ad un
fabbricato fossero seriamente risolvibili dalla proprietà o dalla
amministrazione.
La
sensazione è che si sia ancora lontani da una reale applicabilità dell’obbligo
di certificato di idoneità statica, quanto meno una proroga delle scadenze e
migliori precisazioni appaiono indispensabili per le molteplici casistiche
possibili e la complessità della questione. In ogni caso, se non sarà il TAR ad
eliminare alla radice il problema, l’ottenimento del certificato non sarà
economicamente indolore, nemmeno se l’immobile si dovesse dimostrare perfetto
nelle carte, immutato dall’origine ed in spettacolari condizioni di
conservazione. Il professionista ingegnere o architetto incaricato della
redazione del certificato innanzitutto dovrà esaminare il fabbricato nel suo insieme e nelle singole
unità private, per individuare tipologia strutturale, schema statico e congruità dei carichi; sarà interessante verificare come reagiranno i condòmini
più riservati, per esempio le agenzie bancarie, quando si chiederà loro di
visionare armadi blindati, casseforti, caveau ed i relativi rinforzi. Ma, oltre
a valutare le condizioni delle strutture, il professionista secondo le linee
guida dovrà esprimere un parere su tutto quanto possa “fare danno” a causa del
suo stato di conservazione: coperture, facciate, ringhiere, controsoffitti,
lampadari, serramenti, fioriere, vasi eccetera. Il giudizio su una finestra, un
portabandiera o un vaso, cioè su oggetti strutturalmente ininfluenti, prima
d’ora non ha mai fatto parte di un’analisi di idoneità statica; quel sintetico
elenco mostra quanti aspetti il tecnico incaricato dovrà valutare direttamente,
sia nelle parti comuni che nelle unità immobiliari private, e questo si traduce
in tempo e mezzi (scale portatili, trabattelli, piattaforme elevatrici, ecc.) e
denaro. Senza parlare delle documentazioni edilizie conservate in Comune, il
cui reperimento potrebbe aprire scenari kafkiani.
Detto questo, siamo sicuri che
fosse tremendamente necessario che, a Milano, un tecnico si esprimesse sullo
stato conservativo di facciate, comignoli e balaustre, oltretutto per una
presunta validità di 15 anni? Se dopo 50 anni un giudizio sulle strutture
portanti – soprattutto in calcestruzzo armato – può ritenersi opportuno o
addirittura consigliabile (il nodo è il livello di approfondimento, il costo
aumenta in proporzione), una valutazione sullo stato di un tetto in coppi o su
un balcone privo di piante può essere resa inutile un mese o un giorno dopo,
perché i coppi scivolano e i vasi di fiori vanno e vengono. Non sarà certo il
CIS a ridurre la responsabilità di chi fa cadere un geranio su un’auto
parcheggiata, né si potrà imputare all’ingegnere esperto in collaudi la
successiva installazione di una lavatrice industriale in una posizione
sbagliata. E comunque, l’aspetto statico non è l’unico problema degli immobili;
forse non è nemmeno il primo, almeno a Milano.
In
Italia negli ultimi vent’anni gli eventi più clamorosi sono i crolli di Roma
(via Vigna Jacobini, 1998: 27 morti) e Foggia (viale Giotto, 1999: 67 morti);
in entrambi i casi la cattiva qualità dei materiali di costruzione è stato
elemento determinante per il cedimento delle strutture. Più recentemente, molta
impressione ha suscitato il crollo di Barletta (2011: 5 morti), dovuto ad
errori in un adiacente cantiere di demolizione, mentre il crollo di tre piani
in un condominio sul Lungotevere Flaminio (Roma, 2016) parrebbe causato da
imprudenti opere interne ad un appartamento. A Milano le maggiori disgrazie con
crolli sono state causate da esplosioni da gas metano: viale Monza nel 1994 (7
morti), viale Lomellina nel 2006 (4 morti), via Brioschi lo scorso ottobre (3
morti). A Milano si muore per esplosioni da gas ma anche per incendio, per una
canna fumaria che non funziona, per contatti elettrici e anche perché il comignolo
o il cornicione cade in strada; per crolli strutturali, fortunatamente, no.
E
allora lo sforzo fatto a livello regolamentare, nell’ottica certamente
apprezzabile e più volte affermata di tutelare la cittadinanza, forse non ha
individuato il bersaglio giusto. E’ cioè possibile che a Milano venga
concentrata l’attenzione (e soprattutto l’esborso economico) in una sola
direzione che, però, non è quella maggiormente importante dal punto di vista
della sicurezza dei cittadini. Se il problema sono le tegole, gli intonaci e
gli spigoli dei balconi, esistono da molti decenni sia la responsabilità dei
proprietari, e di conseguenza degli amministratori condominiali, che quella del
Comune stesso nel tutelare, tramite il costante controllo del territorio, la
pubblica incolumità. Se il fastidio sono le segnalazioni all’Ufficio Stabili
Pericolanti contro i vicini o gli scavi in strada, quelle non cesseranno grazie
ad un certificato quindecennale che non potrà garantire per il futuro l’assenza
di leggerezze o sbagli nei cantieri edili. I vasi di fiori continueranno a
sporgersi pericolosamente e le persiane invecchieranno indisturbate ed in
qualche caso rischieranno di staccarsi per un colpo di vento. Ma soprattutto la
legislazione specifica ed i controlli sugli impianti tecnologici continueranno
ad essere insufficienti, mancando la volontà politica per una scelta (questa
sì) necessaria quanto impopolare: obbligare ogni proprietario immobiliare ad
adeguare a condizioni minime di sicurezza gli impianti elettrici e di messa a
terra, gli impianti a gas e le canne fumarie, le caldaie e gli ascensori, non
fidandosi di dichiarazioni di conformità a volte solo formali ed andando a
controllare, direttamente e capillarmente, con sanzioni efficaci e sicure. A
nulla serve nascondersi dietro all’obbligo vigente, per l’amministratore di
condominio, di trascrivere sul registro di anagrafe “ogni dato” sulle
condizioni di sicurezza delle parti comuni: non ha smosso coscienze né
portafogli e comunque non previene la fuga di gas, accidentale o non. Un
fabbricato con impianti privati vecchi e sottoposti a manutenzioni di sola
emergenza resterà sempre un fabbricato pericoloso per le persone, anche se si
doterà di un certificato di idoneità statica. Anche a Milano.